Il luogo in cui un bambino debba dormire (se nel proprio lettino o meno), rappresenta il punto nevralgico del metodo educativo di molti genitori.
Diversi autori si sono occupati di questo. In tal senso, possiamo evidenziare due principali correnti di pensiero: da una parte i sostenitori del “co-sleeping” e dall’altra quelli della “risposta ritardata”.
Il co-sleeping, teorizzato dal Dott. re William SEARS (pediatra californiano), definito anche metodo Sears, consiste nel permettere al bambino di dormire con mamma e papà finché non chiede un letto suo. Questa teoria si basa sull’idea che il bambino debba poter sviluppare associazioni positive col sonno e che, per farlo, debba essere accudito, coccolato, cullato e massaggiato fino a che non si addormenta.
La teoria della risposta ritardata che è stata teorizzata da Richard Ferber prevede, invece, che il bambino venga messo nel lettino sveglio in modo da imparare, attraverso l’aiuto costante dei genitori che “ritardano progressivamente” la risposta alle sue richieste, ad addormentarsi da solo.
All’interno del servizio nido, ovviamente, dato che il rapporto tra bambini ed educatori non è di uno/uno, e che la funzione è quella educativa, si predilige il secondo metodo al primo. Tuttavia, almeno all’inizio, quando i bimbi sono in una fase di inserimento, le educatrici passano molto tempo accanto ai lettini dei piccoli, rassicurandoli e confortandoli quando serva.
Perchè un bambino possa arrivare progressivamente ad un grado di autonomia sempre maggiore, occorre che impari a sperimentare il senso di “io posso”. Pertanto, rispondere immediatamente ad una richiesta di attenzioni durante la notte, o ritardare l’utilizzo del lettino, favorendo l’addormentamento nel letto dei genitori, è una scelta che non è sempre vincente.
Una considerazione, inoltre, va fatta pensando che, con il progredire dell’età del bambino, o l’arrivo di un fratellino, che richiede a sua volta attenzioni, diviene più difficile il passaggio dal lettone alla propria camera. Questo ha conseguenze pesanti sulla coppia, che è prima che genitoriale, coppia coniugale, creando non pochi problemi sul piano relazionale.
In questa sede, in ultima analisi e in virtù dell’esperienza fatta, ci sembra opportuno sottolineare che né uno né l’altro metodo ci sembrano vincenti se applicati in maniera rigida.
Bisogna tenere sempre in considerazione il fatto che il bambino è un organismo in crescita che ha bisogno di regole educative “chiare”, così come di accudimento in momenti particolari (incubi, malattie, periodi di stress nella vita familiare) e pertanto la via vincente è quella dell’ascolto e dell’applicazione morbida delle due teorie a seconda del contesto.
di Michela Merlo, Anna Maria Serio, Angela Di Cola