Cosa si nasconde dietro al pianto disperato di un bambino?E come consolarlo? Come reagire di fronte alle sue urla? Come gestire la sua rabbia e il suo dolore? Le emozioni, sia per gli adulti che per i bambini, rappresentano l’ “essenza” della vita e non sonomai pericolose. Tutto sta nell’imparare a conoscerle, a riconoscerle, ad accettarle e a viverle. Ecco perchè, per aiutare i bambini a crescere felici, liberi ed autonomi, bisogna imparare a comprendere le loro emozioni ed arricchire il loro quoziente emotivo.
Solo questo può dare loro gli strumenti adatti per capire e amare gli altri, ma anche per essere in grado di rimanere sé stessi in ogni situazione e per riuscire a non farsi dominare dalle avversità e a stabilire relazioni serene e significative con gli altri.
La vita interiore di un bambino corre su due binari o emozioni primarie:
l’emozione positiva primaria: l’amore da cui scaturiscono tutte le altre emozioni positive (fiducia, gioia, allegria, ottimismo, coraggio, ecc…)
l’emozione negativa primaria: la paura , da cui derivano tutte le altre emozioni negative (aggressività, sfiducia, invidia, tristezza, ecc…).
Ovviamente, per un genitore, è molto più semplice confrontarsi con la prima che con la seconda. Tuttavia, è utile tener presente che, in entrambi i casi, ciò che il bambino prova ha un’intensità molto maggiore rispetto ad un adulto. Quindi, quando il bambino dichiara amore al proprio genitore, il suo sentimento è realmente simile ad un innamoramento e la sua gelosia a quella di un amante geloso; allo stesso modo, se urla spaventato di fronte a qualcosa che non vuole fare (per esempio scendere da uno scivolo) il genitore dovrebbe tener presente che la sua paura è intensa e reale, e quindi contenerlo, coccolarlo, spronarlo, spiegandogli al contempo ciò che lui ha provato da piccolo in una situazione analoga.
Ma cosa succede a livello organico?
I bambini nascono predisposti a livello fisiologico per la decodifica delle emozioni, tuttavia, nella loro gestione funzionano in maniera più semplice degli adulti. Hanno infatti, a livello cerebrale, un circuito semplificato (amigdala-talamo) che gli permette di rispondere in maniera “grezza” al sopraggiungere di una emozione, senza tuttavia riuscire, a livello cognitivo a dare un significato a quanto accade. Bisogna attendere i 10 anni di età, quando la corteccia frontale ha ultimato il suo sviluppo, perchè un bambino diventi maggiormente in grado di padroneggiare uno stato emotivo.
Tuttavia, già a tre mesi, con la comparsa del sorriso sociale, un bambino è in grado di esprimere un emozione e, in qualche modo, di comunicarla all’esterno.
Il principale compito emotivo del bambino nel periodo che va da uno a tre anni è quello di conciliare la spinta a diventare competente ed autonomo con il bisogno di protezione e di amore da parte dei genitori. Egli, oscilla quindi, continuamente, tra questi due bisogni: quando si sente sicuro dell’ambiente in cui è inserito, manifesta maggiore autonomia, per tornare, nel momento in cui si sente invece più insicuro, alla propria “base sicura”, per essere accolto e confortato.
L’autonomia dei bambini è, quindi, il risultato della loro storia d’amore primaria, quella con mamma e papà: se la dipendenza e l’attaccamento hanno trovato risposta nei genitori, il bambino, già all’asilo potrà rimanere tranquillo e, durante la scuola elementare, l’aspetto cognitivo sarà libero di espandersi, soddisfacendo tutti i compiti richiesti.
L’adulto diviene, quindi, un allenatore emotivo del proprio figlio e, in questo senso, è opportuno che:
- Si interessi alle emozioni del figlio, trasformandole in occasioni di intimità, dialogo e condivisione, senza negarle;
- Eviti l’emissione i giudizio rivolta alla persona in merito all’espressione di un’emozione negativa (questo vale anche in relazione alle emozioni positive: dire ad un bambino “Sei cattivo” o affermare che “E’ sempre bravo” è un’emissione di giudizio che può portare, comunque dei problemi in età più avanzata!);
- Trascorra un po’ di tempo con il figlio senza risultare impaziente ed ansioso di sbarazzarsene, condividendo con lui sensazioni, palpitazioni e attività;
- Aiuti il figlio a riconoscere le proprie pulsioni e a gestirle serenamente, dando a sua volta il buon esempio prima che si senta in balia di chissà quali oscure forze interiori;
- Costruisca insieme a lui regole, interazioni, giochi, soluzioni di problemi e tanto ancora, attivando la cooperazione e la sintonizzazione;
- Verbalizzi, soprattutto, quanto sta accadendo, anche quando il bambino è molto piccolo, esplicitando sia l’emozione del piccolo, sia la propria.
Utilizzando queste strategie, il genitore è in grado di educare alle emozioni il proprio figlio, rendendolo autonomo e sicuro, e facendo di lui, un domani, un adulto ben adattato a livello sociale.
di Michela Merlo, Anna Maria Serio, Angela Di Cola